Questa storia ha talmente dell'incredibile cha mi ha spinto più volte a dubitare della sua veridicità.
Immaginavo un geniale scherzo in cui veri soggetti come Wikimedia o TechDirt, entrambi accesi sostenitori di licenze open, net neutrality e così via, avessero inscenato una falsa querelle sul copyright di una falsa foto. Purtroppo la mia indole complottista ha dovuto ricredersi. A meno di aver mantenuto in piedi una copertura degna di un servizio segreto, la diffusione di articoli disseminati sulla rete da soggetti disparati negli ultimi tre anni, senza che nessuno dubiti dell'autenticità, non mi lascia altra scelta che accettare la storia così come la si racconta in rete. Questi i fatti, secondo il Guardian [...]
Nel 2011 David Slater, un fotografo britannico passa tre giorni nella foresta Indonesiana dell'isola di Sulawesi alla ricerca di scatti interessanti. Dopo un reciproco corteggiamento durato qualche tempo con un gruppo di Macachi neri crestati, David monta la sua camera sul cavalletto, si allontana un momento e quando ritorna le scimmie, incuriosite dalla sua attrezzatura, stanno scattando un gran numero di foto alla rinfusa. Quando David torna in possesso della sua macchina, una delle foto lo colpisce perché sembrerebbe mostrare un consapevole selfie da parte di uno dei primati. La foto in brevissimo tempo diviene un caso esemplare di diritto d'autore. Wikimedia provoca Slater pubblicando la foto con la dicitura “pubblico dominio”, forte del principio che gli scatti, effettuati senza alcun intervento umano, non possano essere oggetto di copyright. Il fotografo è evidentemente di diverso parere, lamentando perdite ingenti a fronte di moltissime ripubblicazioni che la foto avrebbe avuto (o potuto avere se fosse stata pagata per ogni ripubblicazione) e così, forse dietro il consiglio di qualche avvocato, tre anni dopo ha cambiato leggermente la versione della storia (la macchinetta era stata a bella posta lasciata in mano alle scimmie affinché potessero farsi delle foto) e ha minacciato wikimedia di azioni legali.
Lascio a voi farvi un'idea su chi abbia ragione, non ho né l'interesse né la competenza per fare un processo qui, ma la vicenda mostra a mio avviso due aspetti interessanti, che mi pare bene non lasciare sottintesi.
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Wikimedia, ha agito di forza per aprire la discussione su un tema delicato come quello dell'attuale legge sul copyright, sulla sua adeguatezza ai tempi e probabilmente volendo lanciare un provocatorio allarme sullo stato del pubblico dominio, quella fetta di saperi e contenuti che appartengono a tutti e che negli anni ha visto erodere la sua estensione, un tempo illimitata, sempre più, a causa della sempre maggiore restrittività della legge sul diritto d'autore. Pensiamo al caso eclatante delle favole Disney, un tempo di pubblico dominio, ora, riadattate per il mercato dell'animazione restano intrappolate in esclusivissime licenze dai legali del colosso americano.
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David Slater tocca però un punto che mi sembra cruciale, anche se non ho qui lo spazio per sviscerarne la complessità a dovere (ci saranno future occasioni). Ciò che non funziona, non è tanto se la foto sia sfruttabile da Slater o meno, quanto che i prodotti delle arti meccanicamente riproducibili come musica registrata, foto, e così via, siano considerate (dagli stessi autori) di fatto dei servizi a noleggio, per i quali non viene pagato il lavoro in sé (i giorni di ricerca della location, l'esperienza del fotografo, l'attrezzatura, che coinvolgerebbero la totalità del suo reportage dall'Indonesia), ma viene fatta, come sempre, l'equazione un po sempliciotta, che se una foto è bella “vende” tanto (i.e. è ripubblicata tanto) e che questo sia il criterio per far vivere o affamare un fotografo, un musicista e così via.
Inoltre, se mi si concede una considerazione finale, ha ancora meno senso quantificare le mancate entrate che Slater imputa all'operazione di wikimedia, dal momento che la diffusione virale che la foto ha avuto potrebbe dipendere largamente proprio dal carattere bizzarro di scimmia-che-si-fa-un-selfie e dalla querelle legale scaturitane, piuttosto che dalla foto in sé, mostrando che un fotografo, per vedersi pagato il proprio lavoro sarebbe costretto a sfruttare economicamente non solo l'oggetto della sua arte, ma anche una sorta di copyright sulle chiacchiere da bar che la “sua” opera avrebbe generato nei media. Forse è davvero arrivato il momento di cambiare il modo di retribuire il lavoro immateriale.