Obaida Zoheir Hanteer è un giovane siriano che vive a Roma. È il protagonista di “Quando non puoi tornare indietro” del regista Leonardo Cinieri Lombroso, un film la cui post-produzione verrà finanziata grazie al crowdfunding lanciato sulla piattaforma Indiegogo.
Nel corso di uno degli incontri a supporto della campagna, alla Biblioteca Nelson Mandela a Roma, abbiamo ascoltato la testimonianza di Obaida (in collegamento via Skype) e di Dina Madi, artista Patamu che ha prestato la sua musica alla colonna sonora. “Avevo voglia da tempo di parlare della Siria, da quando è iniziata questa tragedia, ma più che la guerra volevo raccontare la cultura che si stava perdendo con i bombardamenti”, racconta a Patamu il regista, Leonardo Cinieri Lombroso. “Facendo un paragone con Roma, mi darebbe una grande ansia pensare che un patrimonio culturale così sia bombardato! Volevi ricordare alle persone cosa si stava perdendo e cercavo un modo alternativo a quello televisivo per farlo. Il modo che cercavo l’ho trovato con Obaida!”
Leonardo, cosa ti ha spinto a raccontare la storia di Obaida? Avevo appena finito un documentario sulla storia di due donne, “Doris e Hong”: l’incontro tra una ventenne cinese e una signora di settant’anni. Si trattava del mio primo documentario narrativo. A quel punto ho cercato di andare oltre: quello che volevo era raccontare le varie comunità straniere che vivono a Roma. Così ho contattato un fotografo, Stefano Romano, che si occupa da tempo di tutte le etnie presenti a Roma. Mentre eravamo al bar, mi ha detto: “Una storia bellissima ce l’ho io, proprio dentro casa! Ho appena affittato una stanza a un ragazzo siriano!”. Obaida. È così che ho deciso di conoscerlo: abbiamo cominciato a chiacchierare piano piano e soprattutto ho cercato di capire se fosse interessato al progetto. Non voglio ossessionare le persone… Per quattro mesi ci siamo incontrati una volta alla settimana: bevevamo qualcosa insieme, lui mi raccontava di sé e io gli parlavo del mio progetto e del documentario. All’inizio non capiva quello che volevo fare. “Un documentario? Su di me?”. Così gli ho mostrato il mio primo documentario. È allora che è scattato qualcosa in Obaida: ha capito il mio linguaggio, come affrontavo la storia e seguivo la realtà delle persone. Se ne è innamorato e ha deciso che anche lui voleva essere “Doris e Hong”. Alla fine si è appassionato così tanto che siamo stati quasi come due registi, nel senso che collaborava alla costruzione delle scene. E siamo diventati grandi amici.
In che modo il cinema e la musica hanno il potere di influenzare l’opinione pubblica, evitando che tutto “ci scivoli addosso” come avete scritto nella presentazione del progetto? La musica è fondamentale in tutti i miei lavori… Spesso nel documentario si perde il concetto della musica, invece per me è una seconda narrazione. Il video è la prima, e combinate insieme danno una forza unica che porta emozione al pubblico. Anche separati, video e musica devono avere la stessa funzione. Spesso ho girato delle scene ascoltando musica per trovare l’atmosfera giusta. Era lei che mi guidava! Scrivo con la musica i miei soggetti e i testi. Ho iniziato come attore e parto sempre da questo metodo, devo sentire un sentimento per poterlo raccontare, altrimenti non riesco… La musica è come una droga!
L’interesse del pubblico per i documentari indipendenti è molto cresciuto negli ultimi anni. Come lo spieghi? Il documentario è molto cambiato. Fino a dieci - quindici anni fa era antropologico, di informazione. Poi, a livello mondiale e soprattutto negli USA - in Italia siamo ancora all’inizio- è arrivato il character driver, il personaggio che guida la storia. Ci sono stati documentari candidati all’Oscar proprio per questo motivo. Si rompe l’informazione e si innesca l’emozione. Lo spettatore non è abituato. Si crea una “finzione reale”. Rispetto a un film innesca qualcosa di nuovo sul piano dell’immedesimazione. Si riesce a entrare in contatto con realtà e persone senza rompere il linguaggio. Nel linguaggio documentaristico, anche seguendo un soggetto, spesso si interrompeva l’emozione, si inserivano interviste, analisi. Nei nuovi documentari la musica ha grande importanza e funzionalità, e il concetto di emozione è centrale. Prima non c’era: questo porta al successo dei documentari di oggi. In Francia per esempio hanno tolto la fiction dalla prima serata e inserito i documentari nei palinsesti. Il risultato è così forte, oltre che per i costi contenuti, anche per il fatto che permette di sperimentare vari linguaggi (animazione, interviste…). Insomma: costa poco, è sperimentale e c’è il linguaggio delle emozioni.