Nella seconda metà del XX secolo, prese vita un movimento artistico che rivoluzionò decisamente la percezione delle immagini, aprendo nuove riflessioni sulla discussa fruibilità dei messaggi veicolati dalle opere. Stiamo parlando della Pop Art, la corrente il cui nome deriva dal termine inglese “popular art” e che prende come fulcro della propria azione l’interesse per la realtà, in netta contrapposizione a movimenti vicini all’astrattismo e all’espressionismo.
Fra i maestri riconosciuti del movimento, troviamo senza dubbio Andy Warhol, pseudonimo di Andrew Warhola Jr. (Pittsburgh, 6 agosto 1928 – New York, 22 febbraio 1987). Pittore, scultore e in seguito anche produttore musicale, regista, direttore della fotografia e altro ancora, trovò ispirazione dalla pubblicità e dalla serialità dei prodotti industriali, opponendo così il tema dell’unicità a quello della produzione di massa dei prodotti culturali. Altri esponenti del movimento, tra cui Roy Lichtenstein, si focalizzarono sulle rappresentazioni del fumetto.
Ma perché abbiamo citato la Pop Art, volendo parlare di rielaborazione delle immagini e delle opere d’arte, anche fotografiche? Proprio perché il movimento si proiettava nella realtà - e anche nella società dei consumi - molti dei lavori di questi artisti partivano proprio dall’ interpretare immagini iconiche e foto di prodotti di largo consumo, entrati ormai nella realtà quotidiana. Ne sono esempi i ritratti in negativo di Marilyn Monroe, i barattoli di pomodori o le riproduzioni seriali della nota bevanda gassata in lattina rossa.
Nel XXI secolo arte, tecnologia, grafica e nuove tecniche digitali di elaborazione hanno dato vita a numerose correnti. Alcune hanno preso le distanze dai movimenti nati in passato; altre possono definirsi una naturale evoluzione degli stessi. Sempre rimanendo in questo terreno di contaminazioni, ci sembra interessante il caso di Banksy. Il writer britannico, famoso anche per celare la sua identità dietro allo pseudonimo, è considerato uno dei maggiori esponenti della street art. La sua produzione è spesso messa a rischio da censura, atti vandalici e altre difficoltà tipiche dell’arte di strada. Non a caso il movimento è definito anche Guerrilla art o Post Graffiti.
Famoso soprattutto per i graffiti con forte carattere satirico, affronta e propone riflessioni su politica, cultura, etica e ruoli sociali. Oggetto e bersaglio della sua arte sono spesso grandi marchi delle multinazionali, militari in atteggiamenti non convenzionali, personaggi dei fumetti di fama mondiale, rivisitazioni di classici della pittura dal ‘700 in poi con tanto di provocatorie incursioni nelle gallerie più celebri, dal Louvre al Museum of Modern Art. Fra le produzioni più controverse, troviamo una serie di graffiti sul muro di Gaza e una serie di installazioni su questo tema: un clown con i colori di un noto fast food, guarda con disprezzo ed arroganza il “suo” lustrascarpe intento all’opera, mentre per terra strofina le lunghe scarpe di uno fra i maggiori simboli della globalizzazione.
Questi movimenti, grazie al concetto della rielaborazione di opere, icone e loghi hanno contribuito a mantenere alto il tasso di riflessione che da sempre rende l’arte essenziale e necessaria per ogni società.