Oggi vogliamo continuare la nostra ricerca sulle figure femminili che hanno rivoluzionato la nostra storia e in occasione della recente gionata mondiale dedicata agli oceani non siamo potuti rimanere indifferenti alla questione ecologica. Su tutto, il problema della plastica, che rappresenta una vera minaccia per l'ecosistema terrestre. Emblematica, la fotografia vincitrice lo scorso anno il premio Wildlife Photographer of the Year 2017: un cavalluccio marino indonesiano che porta con sé un cotton-fioc stretto nella sua coda. L'emblema definitivo dell'inquinamento dei mari. Animali con lo stomaco interamente occupato da polimeri, discariche a cielo aperto, isole di plastica, la plastica al polo nord. Un materiale fatale, soffocante ed inquinante che impiega almeno 450 anni a decomporsi.
Ma cosa c'entra questa digressione con la nostra ricerca al femminile?
La questione è più che mai attinente, perché è proprio un'italiana la scienziata che ha scoperto il “bruco mangia plastica”. Federica Bertocchini è una ricercatrice toscana ormai nota in tutto il mondo per la sua intuizione.
Biologa molecolare, studia lo sviluppo embrionale dei vertebrati in Spagna, affiliata al Cnr spagnolo e oggi all'Istituto di biomedicina di Cantabria, a Santander. Una mente expat instancabile che coltiva diverse passioni: sport all'aria aperta, cinema ed apicoltura. Proprio grazie a questa sua ultima passione, Federica Bertocchini ha avuto modo di osservare il comportamento della larva della Galleria mellonella, detta tarma della cera per la sua propensione a cibarsi dei favi.
“La scoperta del bruco mangiaplastica è avvenuta per caso. Ho l'hobby dell'apicoltura, e l'abitudine - in inverno - di tenere gli alveari vuoti in casa. Nel tirarli fuori per la primavera, l'anno scorso mi sono accorta che erano pieni di questi bachi. Così li ho ripuliti, raccogliendo i bachi in una borsa di plastica. Qualche ora dopo era già piena di buchi e le larve libere" racconta la Bertocchini a Irene Maria Scalise de La Repubblica.
L'intuizione è valsa a Federica la pubblicazione dello studio su Current Biology in collaborazione con Paolo Bombelli e Chris Howe, biochimici dell'Università di Cambridge.
"Paolo ed io ci eravamo conosciuti quando facevamo ricerca allo University College di London, e abbiamo sempre avuto un interesse comune per la biodegradazione delle sostanze inquinanti, in particolare la plastica, dannosa per gli animali e al tempo stesso insostituibile in biomedicina, elettronica, industria alimentare. Così dopo il momento "Eureka!" davanti alla busta distrutta, gli ho chiesto di partecipare alla ricerca".
Dopo la scoperta incredibile, la prima domanda posta dai ricercatori: come riesce la mellonella a mangiare la plastica? La risposta è stata avanzata da Federica Bertocchini, osservando come questi animali, cibandosi della cera d'api devono disporre di un enzima che riesce a scindere molecole complesse. La cera ha infatti un legame analogo a quello che sostiene la robusta struttura molecolare del polietilene: una catena di atomi di carbonio che si ripete. “Quindi, dal punto di vista evolutivo, ha senso che il baco riesca a nutrirsi di plastica".
Il meccanismo metabolico preciso sarà oggetto di un prossimo studio. Per ora è stato constatato che la melonella non decompone quindi la plastica solo attraverso la masticazione ma anche grazie a questo enzima che ne scinde le molecole, presente nella sua salivazione e quindi potenzialmente replicabile in laboratorio.
Grazie a questa scoperta e al suo studio appassionato, Federica Bertocchini ha da poco vinto il Premio Casato Prime Donne, che dal 1999 viene assegnato a donne che abbiano valorizzato la presenza femminile nella società e nel lavoro. Un vero orgoglio non solo per la ricerca, ma soprattutto per la sensibilità e la direzione virtuosa che questa può assumere grazie a donne instancabili come Federica.