Partiamo da una considerazione: l'esperienza del Teatro Valle Occupato passerà alla storia.
In un'epoca in cui gli stessi politici che ora si ergono a difensori del patrimonio culturale italiano affermavano che “con la cultura non si mangia”, nacque e si realizzò un'utopia. In un Teatro, simbolo per eccellenza delle arti con la a maiuscola, si realizzava un impianto alternativo alle decadenti e disattente istituzioni italiane, una proposta alternativa e globale, ovvero non solo limitata all'arte, dell'Italia, dell'Europa e del mondo che potremmo essere.
Un paese delle meraviglie di Alice in cui si incontrano costituzionalisti che parlano di bene comune, bambini che non vanno a guardare l'Opera dei grandi assopendosi sulle poltrone, ma vanno a metterla in scena in prima persona assorbendola come spugne, una scena in cui i grandi delle sette Muse e giovani talenti sconosciuti possono conoscersi e creare assieme qualcosa di nuovo, una piattaforma aperta di democrazia partecipata, un luogo di dibattito sui grandi temi dell'iimmigrazione, dell'accoglienza, della cultura libera, una grande fondazione in cui ciascuno è benvenuto, un luogo da rispettare in cui ogni occupante ogni giorno lava i bagni, i piatti, i pavimenti. In poche parole, uno degli esperimenti di trasformazione urbana sociale e culturale più incredibili e riusciti in Europa.
Dal letame di una politica superficiale, sconnessa dalla realtà, è nato un fiore che ha fatto da ultimo baluardo contro il degrado culturale, un seme che ha contribuito alla nascita od alla valorizzazione di altre esperienze simili, in Italia ed in Europa, che hanno fatto rete per proporre un'idea di mondo differente.
Lasciando da parte un'introduzione forse retorica, ma necessaria per spiegare quale sia il valore che attribuiamo all'esperienza del Teatro Valle Occupato (d'ora in poi TVO per amor di sintesi), veniamo al dunque: perché le istituzioni non riescono a prendere in considerazione ed a valorizzare i lati positivi di questa esperienza quasi rinascimentale, riconoscendone l'innovatività e la preziosità, aiutandola nel percorso di regolamentazione e legalizzazione attraverso, ad esempio, il riconoscimento della Fondazione pubblica (a cui può partecipare chiunque)?
In altri articoli si è analizzata, affrontata e dibattuta la posizione del mondo istituzionale e politico, in modo sicuramente più profondo e completo di quanto potremmo fare noi in questa sede. Data la natura delle nostre conoscenze, ci sembra più utile in questo luogo soffermarci sugli attacchi rivolti al TVO da parte di una delle più radicate ed antiquate (ci piacerebbe poter usare il più lusinghiero termine “antiche”) realtà italiane nel mondo della cultura e del diritto d'autore: la SIAE.
Nel recente articolo "Tuteliamo l'illegalità o la legalità?" sul sito della SIAE vengono mosse varie critiche all'esperienza del TVO e ad altre esperienze simili. Alcune sono plausibili (la necessità di regolarizzare la posizione fiscale, i contributi ENPALS, il potenziamento delle misure di sicurezza per autori, tecnici e spettatori) ma è pur vero che per fare questo è necessario appoggiare e seguire la costituzione di una fondazione cittadina che possa dare continuità all'esperienza del TVO, traghettandola nella tanto (e giustamente) invocata legalità. In altre parole, bisogna intraprendere azioni ed interazioni che siano coerenti con ciò che si chiede.
Inoltre, per essere corretti, la segnalazione di lamentele da parte di altri soggetti di settore andrebbe inserita in un dibattito più ampio che non faccia del TVO il principale capro espiatorio a causa della sua supposta “concorrenza sleale”, ma si interroghi sui reali motivi per i quali fare cultura di qualità per i soggetti che agiscono legalmente sia diventato talmente complesso, burocratico e costoso, da aver reso impossibile la nascita di esperienze innovative come quella del TVO in un contesto che sia completamente regolamentato dalle regole e leggi attuali. Detto in altro modo e semplificando, la vera domanda è: quali sono i vincoli mentali o legali che hanno impedito ad altre realtà teatrali di fare salire centinaia di bambini su un palco prima del TVO, con evidenti guadagni in termini di maturazione sociale ed intellettuale della risorsa più preziosa per il futuro del nostro Paese?
Tuttavia, la principale accusa della SIAE nei confronti del Teatro Valle Occupato e di altre realtà simili sul territorio italiano è quella di non pagare i diritti d'autore, creando enormi danni agli autori. Riflettendo su questo punto, è importante ricordare un aspetto fondamentale: tutti gli autori, anche molto conosciuti, gestiti dalla SIAE, che hanno portato, eseguito o rappresentato le proprie opere al TVO, lo hanno fatto consapevolmente, in pieno appoggio a quella realtà, sapendo benissimo che in quell'occasione non avrebbero riscosso compensi. Questo, ovviamente, non è permesso in Italia: la SIAE, ancora in regime di monopolio, non permette ai propri autori di rinunciare consapevolmente ai diritti d'autore per supportare una realtà innovativa, un concerto di beneficenza, o quando valutassero che i benefici derivanti da un'esecuzione possano essere di altro tipo rispetto alla semplice riscossione dei compensi. Eppure, una recente direttiva europea imponga esplicitamente alle società di gestione dei diritti d'autore di permettere ai propri iscritti questa possibilità.
Diritti d'autore che, per inciso, andrebbero ormai chiamati semplicemente tassa sul copyright perché, purtroppo, all'autore ormai torna ben poco rispetto a quanto riscosso dalla SIAE. E' l'esempio dell'infinita mole di diritti pagati a forfait, per radio o televisioni non monitorate, i cui "diritti d'autore" vengono poi redistribuiti solo tra gli autori monitorati,leggasi più famosi (ne abbiamo parlato in un recente post e ne riparleremo).
La domanda dunque si rovescia: non sulla legalità o meno della posizione del TVO che non paga il diritto d'autore, ma sui motivi per cui in Italia non è possibile per un autore rinunciare alla riscossione di quei compensi in determinate occasioni. In altre parole, è davvero illegale ciò che fa il TVO quando non paga i compensi ad artisti consenzienti, o è la SIAE a non permettere qualcosa che dovrebbe essere naturale, parlando poi di illegalità in modo molto superficiale? Perché, nonostante la direttiva del parlamento europeo, ancora oggi gli autori SIAE non sono liberi, in determinate occasioni, di poter scegliere se vogliono o non vogliono riscuotere i diritti d'autore loro spettanti? E come fa dunque la SIAE ad affermare placidamente che “il nuovo Statuto della SIAE è perfettamente in linea con la bozza di Direttiva Europea sulle Società di collecting”?
Infine, un'ultima osservazione: quella del TVO viene bollata come esperienza non democratica: eppure chiunque può partecipare alla fondazione (e sarebbe auspicabile, perché no, anche una partecipazione delle istituzioni) e tutti hanno lo stesso diritto di voto, cosa che non si può dire per le votazioni in SIAE, giacché autori ed editori hanno un diritto di voto proporzionale a quanto da loro guadagnato in termini di royalties (tra l'altro, in base a meccanismi non sempre trasparenti), dando di fatto il controllo assoluto della SIAE ad una vera e propria oligarchia.
Lasciando ad un altro articolo riflessioni più approfondite sui concetti di diritto d'autore e monopolio su cui si sofferma la SIAE nello stesso articolo, e che meritano un'analisi completa a parte, il nostro interesse in questo articolo era fare domande e porre critiche costruttive alla SIAE, per stimolare una riflessione sulla situazione del TVO, ed aprire un dibattito che vada oltre gli attacchi superficiali, nell'interesse stesso del sistema culturale italiano.
In conclusione del suo articolo la SIAE scomoda Pasolini portandolo dalla sua parte: “Questi signori non possono essere interlocutori credibili e fanno tornare alla memoria le parole del M° Pasolini sui “figli di papà” di Valle Giulia.”
Proviamo dunque, presuntuosamente, a scomodarlo anche noi, perché non siamo del tutto convinti che, tra Davide e Golia, questi avrebbe preso le parti del gigante: "Spero che l’abbiate capito che fare del puritanesimo è un modo per impedirsi la noia di un’azione rivoluzionaria vera".
Grazie per la pazienza nel leggere l'articolo, speriamo di aver contribuito anche solo in piccola parte alla nascita di un dibattito ed un confronto seri ed intellettualmente onesti.
Adriano Bonforti – Patamu.com