In questi ultimi tempi, purtroppo decisamente in sordina rispetto alla visibilità che l'operazione meriterebbe, è in corso un discreto movimento nell'ambito altrimenti piuttosto ingessato del dibattito sul diritto d'autore e di conseguenza sulla proprietà intellettuale.
Forse trainata anche dalla consultazione pubblica sullo stato della legislazione sul diritto d'autore a livello europeo conclusasi quest'estate, anche l'Italia ha sancito una consultazione online sui temi dei diritti della rete di cui vi abbiamo parlato in questo post, per i quali è richiesto (sottovoce) di esprimersi sul merito. Il testo da emendare è la neo-redatta bozza di Dichiarazione dei diritti in Internet, frutto della commissione di studio presieduta da Stefano Rodotà, attraverso commenti e persino integrazioni riguardo agli aspetti più “scottanti”, fin ora dichiaratamente assenti, come pubblico dominio o diritto d'autore.
Sul perché queste questioni non siano state ancora affrontate in una sede istituzionale ci sarebbe molto da dire, essendo le leggi sul diritto d'autore e la proprietà intellettuale a livello internazionale teatro di battaglie più o meno sotterranee, banco di prova di diritti di enorme portata (pensiamo agli aspetti legati ai brevetti scientifici, alla medicina, all'alimentazione e all'accesso alla cultura tout-court) e in generale oggetto di una retorica ideologica che ha pochi confronti.
In primo luogo esistono questioni essenziali legate ai diritti di accesso ai saperi (online ed offline) di cui si parla molto poco, limitandosi molto spesso a parlare soltanto di perché sia giusto o meno che un ristretto manipolo di cantanti riceva o meno un compenso quando postiamo i video della loro ultima hit sulla nostra bacheca. L'orizzonte è chiaramente molto più ampio, ma molto spesso a renderlo più confuso è da un lato il contrasto acceso tra posizioni diametralmente opposte (chi i contenuti li produce contro chi vorrebbe accedervi) e dall'altro dal fatto che il discorso è spesso opacizzato da una retorica ideologica quantomeno fuorviante, che assume le “ragioni” dell'industria dell'intrattenimento multimiliardaria come semplice buonsenso.
Si può avere una dimostrazione paradigmatica di questa situazione di “stallo” dando uno sguardo ai risultati della consultazione promossa dalla comunità europea tra la fine del 2013 e la metà del 2014 e conclusasi a luglio di questo anno. Il panorama di per sé è molto poco sorprendente se si è vicini alla tematica; quello che sorprende però è che l'attività legislativa dentro e fuori dalla comunità europea sembri viaggiare a vele spiegate verso la direzione opposta a quella che emergerebbe dal rapporto finale sui risultati della consultazione. Senza andare troppo nel dettaglio (il rapporto integrale si può leggere qui, nelle sue 100 pagine di gloria) in buon succo possiamo dire che gli attori nel panorama del diritto d'autore sono scissi in due blocchi contrapposti senza mediazioni. Da un lato gli utenti e istituzioni come biblioteche università e musei ritengono l'attuale legislazione antiquata, troppo restrittiva e in generale da cambiare, mentre autori ed editori ritengono che la legge vada bene così com'è o peggio ancora vada inasprita.
Sarebbe a mio avviso interessante cercare di capire le sfumature nelle posizioni, dal momento che gli autori spesso denunciano la mancanza di libertà di scelta contrattuale quando si tratta di mediare con l'industria, lamentano margini notevolmente inferiori a quelli che i mediatori concedono loro, e ciò nonostante come categoria nel suo complesso, continuano strenuamente a schierarsi dalla parte dell'industria (prime vittime forse un po' miopi della sua retorica), invece che invocare un cambiamento di paradigma, specialmente ora che l'industria nella maggior parte dei campi fa davvero poco per la maggioranza di loro. Quindi, se per necessità, se per speranza in un futuro migliore (in questo la retorica del successo promesso ha credo una grande influenza su un settore di lavoratori intellettuali sempre più disperso e impoverito) o se (ma parliamo di una minoranza esigua, soprattutto in paesi come l'Italia) perché davvero si guadagna così, autori e produttori restano un po' ironicamente abbracciati gli uni agli altri dalla stessa parte della barricata. Ma questa è un'altra storia.
Per tornare a noi, peggio di così non potrebbe davvero andare, specialmente perché dalla bozza trapelata dalla comunità europea a seguito della consultazione, che dovrebbe delineare le linee guida del futuro della legge, (così detta white paper sul diritto d'autore) la linea dominate sembra voler ignorare o ridimensionare molto il ruolo degli “insoddisfatti” come parti in causa legittime nel dibattito e porsi in maniera decisamente più favorevole al secondo blocco.
Interessante in quest'ottica è dare uno sguardo, nel documento di sintesi citato prima, all'attenzione dedicata ai diversi blocchi in termini di quantità di parole usate per articolare le rispettive posizioni, come ha fatto Communia.
In questa tabella sono messi a confronto i numeri di partecipanti alla consultazione per tipo di gruppo e il numero di parole usate per descriverne le posizioni nel report. Il risultato mostra che le posizioni dell'industria, ancorché rappresentative di gruppi più limitati in termini di presenze al sondaggio, sono articolate usando quasi il doppio delle parole di quelle dei privati cittadini, che rappresentano un campione due volte più ampio.
Ogni anno a livello mondiale si apprende di tentativi di regolamentazione internazionale a tutto vantaggio delle grandi società “proprietarie” di brevetti, licenze e così via, e a tutto svantaggio della società civile o dei piccoli produttori, che in maniera più o meno segreta tentano di ridurre il già esiguo spazio di manovra. Quella sulla proprietà intellettuale è una battaglia fondamentale, perché ridisegnerà le mappe di accesso ai saperi fondamentali, delineando, come sta succedendo ad esempio sulle sementi, nuove forme di schiavitù in molte aree del mondo, o precludendo accesso ad alcuni farmaci o ai risultati della ricerca scientifica.
Per tutte queste ragioni ci sembra molto importante prendere posizione, partecipare al sondaggio, sottolineando l'importanza di trattare queste questioni facendo sentire in ogni modo le ragioni della categoria maggioritaria e sotto-rappresentata nella lotta in corso, perché questa crediamo possa avere ricadute più globali di quanto non si pensi. Siamo in un momento in cui non è più tollerabile lasciare che esigenze di natura commerciale, ancor di più quando operano in maniera sotterranea e antidemocratica, modellino diritti che riguardano la società nel suo complesso.
Immagini da: governance across borders (CC-BY / Leonhard Dobusch)