L'intelligenza artificiale potrebbe non essere ancora dietro l'angolo, ma sicuramente enormi passi avanti sono stati fatti nella sua direzione. La tematica è affascinante per definizione e solletica appetiti e fantasie di ogni genere e tipo. Se avete qualche minuto libero e un po' di voglia di saperne qualcosa in più, questo articolo è un eccellente riepilogo delle diverse posizioni di studiosi e scienziati sulla questione e dell'importanza che questo processo avrà (o potrebbe avere) nei prossimi anni. Nell'attesa di essere spazzati via dalla faccia della terra da un'umana creatura superintelligente e iper-razionale, però, vi raccontiamo di un'interessante ricerca indipendente, condotta in maniera open source da un variegato team di scienziati di tutto il mondo, che ha come oggetto un'intelligenza parecchio meno minacciosa, ma non per questo meno affascinante.
Alla fine del 2001 un team di ricerca, coordinato da Stephen Larson e in quattro anni arrivato a superare l'impressionante numero di sessanta ricercatori da quindici paesi diversi, decide di mettere in pratica una simulazione software del sistema neuronale di un piccolo verme, il C. elegans, studiatissimo già da molto tempo e dotato di un sistema neuronale di appena 302 neuroni per un totale di 959 cellule.
Il progetto, chiamato appropriatamente Open Worm, prevede la realizzazione di una simulazione software del comportamento di un neurone e la costruzione di una rete di connessione che simuli, nella maniera più accurata possibile, il cosiddetto connettoma, ovvero della mappa delle connessioni neurali in un cervello, con l'auspicio che questo produca un “verme-pensiero” sufficientemente credibile. I dati sono basati sul lavoro, anch'esso interamente Open, del progetto trans-disciplinare open-connectome, che coinvolge ricercatori da diverse università del mondo e si propone come una sorta di elemento unificante per le ricerche attorno a questa affascinante branca delle neuroscienze e che ospita l'intero connettoma del C. elegans.
Secondo quanto affermato dallo stesso Larson, la chiave del progetto è stata la sua apertura, che ha consentito una grande velocità di sviluppo e una partecipazione libera di una grande numero di scienziati e appassionati e il carattere delle collaborazioni “a sciame” (swarm) che ha consentito una grande plasticità organizzativa. La ricerca è costantemente in movimento, tra i diversi settori coinvolti, con biologi, programmatori e quant'altro in perenne contatto via google hangouts da ogni angolo del pianeta. In questi quattro anni di vita sono stati prodotti diverse varianti del modello, con le singole parti (movimento, sensi ecc) in continuo processo di miglioramento.
Una della implementazioni del modello di questo piccolo nematode ha persino già visto nascere, tra le pieghe del progetto, una versione meccanica “vivente”. Un modello di rete neurale è stato "uploadato" e fatto funzionare in un piccolo robot fatto di lego, con sensori ed attuatori in qualche modo, con un po' di fantasia, paragonabili a quelli di un vero verme.
La cosa sorprendente è che nonostante il piccolo robot non somigli affatto al suo ispiratore, (è una scatoletta di lego con le ruote e una sorta di collo/naso sensore), le ricerche sembrerebbero indicare una similitudine nel comportamento del robot al suo corrispettivo biologico, in relazione alla risposta agli impulsi esterni, al suo comportamento in presenza di ostacoli e così via, come è possibile vedere in questo video, non esattamente eccitante, ma pur sempre suggestivo. La cosa davvero sorprendente è che, al contrario di ciò che si è per lo più fatto finora in robotica, dove il programma, per così dire, precede concettualmente la sua esecuzione meccanica, qui i ricercatori non hanno programmato alcuna istruzione all'interno del “cervello” del robot. Hanno utilizzato, al contrario un approccio cosiddetto bottom-up, secondo il quale una determinata configurazione fisica delle varie sinapsi di un cervello, determinerebbe un determinato tipo di risposta neurale e di conseguenza un dato comportamento. Questo quindi, non sarebbe un'istruzione precompilata, ma una caratteristica “emergente” dovuta al tipo di relazioni possibili in una data configurazione fisica. Siamo ancora lontani da un modello sufficientemente prossimo alla realtà, ma il progetto è estremamente promettente e il suo respiro collaborativo, trans-disciplinare ed open source lo rende decisamente interessante, perché sempre di più la scienza sembra voler (e poter) abbandonare le rigide strutture chiuse, diventando davvero territorio di avanzamento comune.
Lavorare a progetti del genere attraverso modalità open source non soltanto consente l'accesso ad un rapidissimo canale di scambio di competenze e informazioni, al di la di logiche direttamente connesse al profitto, e quindi consentendo un avanzamento più rapido della conoscenza, ma consentirebbe anche una maggiore capacità di controllo incrociato sull'intero processo, riducendo di molto la probabilità che errori inosservati si nascondano tra le pieghe del lavoro.